Una serie di riflessioni personali sui temi del marketing per psicologi e psicoterapeuti e sulla promozione professionale online, scritte da uno psicoterapeuta.
La scrittura di questo articolo mi frulla in testa già da qualche tempo.
Da psicologo e psicoterapeuta, nonché da possessore di un sito web e di una pagina Facebook, è naturale per me sviluppare una percezione più o meno allargata e personale di quella che è attualmente la professione e di come essa si rapporta all’utilizzo della promozione online.
(D’altronde è quasi impossibile non farlo, dato che basta aprire la Home di Facebook per venire sommersi da pubblicità sponsorizzate di colleghi e servizi online che offrono percorsi di aiuto!)
Quello che osservo all’interno della mia “fetta di realtà” è che sempre più psicologi decidono di utilizzare gli strumenti social per promuovere la propria attività professionale.
Non va dimenticato che, di anno in anno, il numero degli psicologi aumenta ed accedono alla professioni quelle generazioni di ragazze e ragazzi che ad oggi vengono definiti “nativi digitali”.
Mi sembra naturale considerare che esista una grande differenza tra come può utilizzare lo strumento della promozione online una ragazza di 24 anni, appena neo-laureata alla specialistica, ed uno psicoterapeuta navigato che è nel campo clinico da 30 e passa anni.
A parte l’ovvia differenza di età, l’essere nati in generazioni differenti pone la giovane in questione in una posizione di “vantaggio” rispetto al concorrente più anziano, che quindi utilizzerà i vari social come Instagram, Facebook, TikTok con più dimestichezza (e sarà più invogliata a farlo per promuoversi online).
I fattori che spingono gli psicologi ad utilizzare lo strumento della promozione online sono, secondo me, numerosi e complessi (ad esempio dovremmo sicuramente citare il problema della gigantesca offerta rispetto all’esigua offerta, soprattutto nel territorio Laziale), e quindi sarebbe davvero difficile per me affrontarli tutti in questo articolo, senza dati scientifici alla mano.
Ciò che voglio fare, invece, è offrire un paio di riflessioni sul tema del marketing per psicologi e psicoterapeuti, cercando di rispondere ad una semplice domanda: ma lo stiamo facendo bene?
Lungi da me fornire risposte univoche a questo complesso problema: mi accontenterò di porre (e di porvi) domande appropriate che possano stimolare il ragionamento.
Marketing per psicologi e psicoterapeuti e la “saturazione digitale”, ovvero “ormai tutti hanno una pagina Facebook”
La mia storia con il marketing per psicologi e psicoterapeuti comincia nel 2016, che non è nemmeno tanto tempo fa, ma in termini di sviluppo digitale, che ormai ha raggiunto una velocità esasperante, equivalgono ad un tempo lungo almeno il doppio.
Feci un corso online indirizzato proprio al marketing per psicologi e psicoterapeuti (che se non ricordo male era proprio alla prima edizione), sperando che la conoscenza dello strumento online mi avrebbe dato un “vantaggio” per farmi notare all’interno di una nicchia lavorativa già di per sé difficile.
Personalmente credo che sia questa una delle motivazioni principali che ha stimolato tanti colleghi ad investire soldi e tempo in corsi di questo tipo.
Se utilizziamo la metafora che viene adoperata anche dagli autori del celeberrimo libro di marketing “The Blue Ocean Strategy” (citato peraltro nel corso che feci), il mercato del lavoro degli psicologi può essere immaginato come un mare pieno di pesci predatori (gli psicologi) e poche prede da mangiare (i clienti).
Essendoci scarsità di risorse, i pesci predatori cominciano a farsi guerra tra di loro, a volte arrivando anche a mangiarsi a vicenda.
La strategia vincente per uscire da una situazione di questo tipo, secondo gli autori del libro, è cercare un mercato alternativo, un “mare blu” libero da altri pesci predatori, in cui poter procacciarsi il cibo in santa pace senza troppa concorrenza.
Lo strumento della promozione online, quindi, portava con sé la promessa di scavalcare la concorrenza attraverso strategie mirate di marketing intelligente (senza però specificare che, per fare una cosa del genere, è necessario investire una quantità ingente di tempo, energie e denaro in modo costante e per lungo tempo).
Cosa è cambiato in 5 anni, a mio parere?
Ciò che una volta veniva considerato come la “novità”, adesso è la cosa più comune del mondo.
Tutti i professionisti a partita IVA hanno perlomeno una pagina Facebook, una pagina Instagram e, se sono smanettoni, un sito web personale.
L’aumento del numero dei professionisti che prova a farsi notare attraverso la promozione online ha trasformato il panorama professionale digitale in una gigantesca “piazza” gremita di persone, in cui riesce ad emergere ed a “farsi sentire” solamente colui o colei che “urla” più forte e più a lungo.
Essendo romano, mi vengono in mente i mercati tradizionali che vengono fatti la Domenica, in cui i venditori delle varie bancarelle si “sfidano” nel cercare di urlare la propria offerta più forte della concorrenza per accalappiare il potenziale cliente (ed infatti passata mezz’ora in suddetti mercati le orecchie accusano decisamente il colpo!).
Le stesse piattaforme social, per massimizzare i guadagni, hanno introdotto negli anni modifiche sempre più avanzate all’algoritmo che regola il “reach” dei post su Facebook, favorendo principalmente i professionisti che spendono soldi attraverso la promozione pagata.
Ad oggi, infatti, produrre post e farli arrivare ad un numero considerevole di potenziali clienti è praticamente impossibile senza spendere soldi.
Inoltre i social premiano quel genere di post che seguono le linee guida specifiche dettate dall’algoritmo: un articolo lungo come questo, ad esempio, è sfavorito rispetto ad un contenuto visivo facile da “consumare” come un breve video o una foto accompagnata da un aforisma.
Di fatto, l’algoritmo dei social influenza il tipo di contenuto che come psicologi e psicoterapeuti mettiamo sulla rete se vogliamo raggiungere i potenziali clienti.
Infatti, i social stimolano la produzione di contenuti sempre più semplici, brevi e concisi, spesso banali, postati in modo costante e numeroso (d’altronde siamo sommersi di psicologi-guru che postano almeno 3 aforismi al giorno), rispetto alla creazione di contenuti approfonditi che possano produrre valore per le persone che ci leggono e ci ascoltano (ad esempio promuovere la cultura del benessere psicologico e della prevenzione).
Queste sono le regole del gioco del marketing tramite social e, se noi psicologi e psicoterapeuti vogliamo giocare (ed a oggi è impossibile non farlo), allora dobbiamo sottostare a tali regole.
La domanda che mi viene spontanea è:
- Può esistere un modo di fare promozionale professionale online che sia specifico per noi psicologi? Un modo che tenga conto dell’unicità della nostra professione e della dimensione etica, deontologica e clinica che ci contraddistingue?
Marketing per psicologi e psicoterapeuti: che percezione di noi diamo al grande pubblico?
Queste due domande (anzi tre) sottolineano il fatto che non esiste una tipologia di marketing che sia specifica per i medici, per gli psicologi, per i venditori di auto, per i fisioterapisti, per gli elettricisti e così via.
Intuitivamente ci si rifà quasi tutti allo stesso modello, che prevede l’esaltazione di sé come professionista e come “diverso” rispetto agli altri colleghi (cercando di costruire la percezione di essere più figo/figa degli altri).
Di fatto non c’è una differenza poi così marcata tra il modo che uno psicologo utilizza per promuoversi online e un venditore ed imprenditore che costruisce il suo impero economico sulla propria figura personale come, chessò, Frank Merenda.
Non essendoci una specificità nel modo di presentarsi al pubblico tenendo conto del proprio ruolo professionale, tutti adoperano le stesse strategie e tecniche di marketing.
Il problema sta nel fatto che lo psicologo, ed ancora di più lo psicoterapeuta, sono professioni con una loro specificità che DEVE essere riflessa nella percezione sociale e professionale che danno di loro stesse.
Questo tema è spesso argomento di dialogo e nei peggiori casi di scontro tra gli psicologi e gli psicoterapeuti (l’altro tema scottante, di solito, è quello del compenso).
La promozione di sé come professionisti sul mercato del lavoro attraverso i canali digitali ha una ricaduta sull’aspetto clinico e sanitario della professione, nonché sull’aspetto del decoro professionale.
Se così non fosse, l’articolo 40 del nostro Codice Deontologico non avrebbe senso di esistere.
Anche qui è doveroso porsi alcune domande:
- In che modo l’assunzione del ruolo del “guru” (e qui ci sarebbe tanto da dire per cosa si intende per “guru”) influenza la percezione dello psicologo come professione da parte del pubblico di potenziali clienti che ci seguono sui social?
- In che modo la presentazione di sé, che potrebbe non rispettare i principi del decoro professionale ma che invece rispetta i criteri di efficacia degli algoritmi dei social, influenza la relazione terapeutica che successivamente si instaura col cliente?
L’analisi potrebbe continuare e le domande aumentare, ma il senso di questa riflessione è fermarsi a ragionare su come il modo che gli psicologi e gli psicoterapeuti usano per pubblicizzarsi online influenza il loro agire professionale e la percezione che danno di sé come categoria.
Marketing per psicologi e psicoterapeuti: quale futuro?
Personalmente non sono contro l’utilizzo dei mezzi online, anzi, credo che possano essere un valido aiuto per creare una cultura del benessere mentale che in Italia ancora manca.
D’altronde si tratta di un mezzo, ed uno strumento acquisisce connotazione positiva o negativa in base alla persona che lo utilizza, al modo ed al contesto.
In questo senso la responsabilità di dare importanza alla salute psicologica sul territorio italiano è in larga parte anche nelle nostre mani, e non sono in quelle delle istituzioni.
La produzione di contenuti di qualità che favoriscano la presa di consapevolezza di cos’è la salute mentale e di come prendersene cura è qualcosa che possiamo fare noi psicologi, nel piccolo della nostra pagina Facebook o sito personale.
Credo che sia importante che ogni professionista si prenda la responsabilità di ciò che produce e che mette online, chiedendosi come esso impatta l’immagine che crea di sé e della professione.
Inoltre, la speranza per il futuro è quella che gli psicologi sviluppino un loro modo di utilizzare i canali digitali per fare promozione professionale, che tenga conto delle caratteristiche irripetibili della professione e dell’etica e della deontologia che la contraddistinguono.