Mettere gli altri prima di sé stessi: una analisi di questo processo interpersonale
Questo articolo è dedicato a tutti gli aspiranti Gandhi lì fuori che hanno la tendenza spasmodica di mettere gli altri prima di sé stessi, in quasi ogni occasione della loro vita.
Non so se bramano di ottenere una presunta santità terrena attraverso l’estremo altruismo verso gli altri! Quello che so è che, comportandosi così, fanno un tremendo disservizio a loro stessi … ed anche a coloro che cercano di aiutare.
Quindi, se durante la lettura vi sentite pervasi da un’aura mistica e vi viene voglia di uscire fuori di casa e di aiutare il primo passante che trovate … beh, fermatevi un attimo e continuate la lettura, perché aiutare gli altri senza riflettere può essere dannoso.
Tra parentesi, vi invito a non fare caso al fatto che manca praticamente un mese a Natale e, come dicono le pubblicità televisive ogni anno, “a Natale siamo tutti più buoni“.
Abbassate gli occhi dal calendario e focalizzateli sullo schermo: in questo articolo parleremo del termine tecnico che viene attribuito a questo genere di ruolo secondo la terminologia dell’Analisi Transazionale, ovvero il Salvatore.
Prima di addentrarci nella specificità di questo termine, voglio sottolineare che quando si vuole aiutare qualcuno l’elemento importante da tenere a mente è il concetto di equilibrio.
Esiste una certa differenza tra l’aiutare gli altri ed il farlo in modo talmente compulsivo da dimenticare sé stessi.
Ci sono due paroline che le persone dicono spesso, sottolineandole con una certa dose di bramosia, intuibile dal tono di voce: sano egoismo.
Queste due parole sembrano un traguardo inarrivabile per molti, soprattutto per coloro che, come nell’incipit dell’articolo, tendono a mettere gli altri prima di sé stessi.
Il primo passo da fare è … (e lo intuirete subito di cosa si tratta se siete dei lettori abituali degli articoli di questo sito) … la consapevolezza.
Essere consapevoli dei modi in cui ci si proietta continuamente all’esterno, ai bisogni degli altri ed alle loro richieste, dimenticandosi di quelli che sono i propri, è il primo step necessario per cambiare modo di fare.
La consapevolezza, tuttavia, si ottiene quando ci si interroga su se stessi e quando si hanno a disposizione una serie di informazioni utili su come si funziona a livello interpersonale.
Per ottenere queste informazioni, il metodo più sicuro è quello della psicoterapia: come ho detto già altre volte, è un percorso in cui uno degli step più importanti è rappresentato dall’avere un quadro più chiaro di chi si è e di come si funziona, a livello intrapersonale ed interpersonale.
Le modalità di interagire con gli altri che utilizziamo oggi le abbiamo imparate in un momento specifico del nostro “ieri”.
Se abbiamo la tendenza a “salvare” il prossimo, a mettere gli altri prima di noi stessi, non è perché siamo scemi o perché questi modi di fare sono magicamente comparsi nella nostra vita un bel giorno del nostro passato.
Anzi, mettiamo proprio via la parte del darsi degli scemi: lo so, la tendenza a criticarsi dopo aver preferito gli altri a sé stessi per l’ennesima volta è fortissima, ma le auto-critiche non portano mai da nessuna parte (se non a confermare il proprio copione!).
Molto spesso, almeno il 99,9% delle volte, salvare gli altri e mettere gli altri prima di sé stessi ha avuto un senso, c’era uno scopo specifico di adattamento legato ad un contesto del nostro passato.
La psicoterapia, almeno quella Analitico-Transazionale, si occupa di fare questo (in almeno uno dei suoi compiti): aiutare il paziente a fare un collegamento, un link, tra presente e passato ed aumentare la consapevolezza.
Un altro metodo, che non è psicoterapia, ma che stimola la curiosità personale e la voglia di chiedersi: “perché metto i bisogni degli altri sempre prima dei miei?” è leggere libri di psicologia o articoli come questo.
Quindi, sta a me la responsabilità di darvi informazioni attendibili sul funzionamento interpersonale dell’essere umano secondo la teoria dell’Analisi Transazionale.
Perciò bando alle ciance, introduciamo lo schema del Triangolo Drammatico di Karpman per capirci qualcosa di più su chi è, cosa fa questo “benedetto” Salvatore e quali sono le conseguenze del mettere gli altri prima di sé stessi.
Il Triangolo Drammatico di Steve Karpman: Salvatore, Persecutore, Vittima
Il buon Steve Karpman è un analista transazionale che scrisse un articolo scientifico nel lontano 1968 riguardante il Triangolo Drammatico, per il quale vinse il premio Eric Berne (la massima onorificenza ottenibile da uno psicoterapeuta nell’ambito dell’Analisi Transazionale) quattro anni dopo.
Karpman individua tre ruoli che le persone possono adottare all’interno di un gioco psicologico (ho parlato brevemente dei giochi psicologici in questo articolo): il Salvatore, la Vittima ed il Persecutore.
Ciò che caratterizza ogni singolo ruolo è abbastanza intuibile dal nome che porta:
- Il Salvatore è un ruolo drammatico in cui la persona si pone in una posizione di superiorità rispetto all’altro. Offre aiuto agli altri partendo dalla convinzione che le persone che riceveranno il suo aiuto non sono capaci di cavarsela da sole, di fatto sminuendo le loro capacità e risorse. Chi occupa spesso questo ruolo all’interno dei giochi psicologici tende a sentirsi OK solo se aiuta gli altri.
- La Vittima è il ruolo drammatico in cui si pongono le persone quando scelgono di stare in una posizione di inferiorità rispetto all’altro. La Vittima ha la convinzione di non essere OK, di non riuscire a fare nulla nella vita da sola, e quindi necessita dell’aiuto degli altri per sentirsi adeguata. A volte questo “aiuto” può anche essere un riconoscimento negativo, come accade quando una Vittima interagisce con un Persecutore.
- Il Persecutore è quel ruolo drammatico che è caratterizzato dal vedere gli altri come non adeguati, tanto da volerli sminuire e calpestare. Il Persecutore attacca l’altro, lo critica e si sente OK solo nel momento in cui è riuscito a piegare l’altro in una posizione di inferiorità.
Cosa accomuna tutti questi ruoli?
Ve lo dico io: che si tratti di Salvatore, Vittima o Persecutore, esiste uno sbilanciamento legato al valore personale all’interno della relazione.
Il Salvatore si vede OK mentre l’altro non lo è; la Vittima si vede non OK mentre l’altro è OK; il Persecutore si percepisce OK e l’altro non lo è.
Interagire con gli altri impersonando questi ruoli sociali può essere un buon modo per viversi con serenità e contentezza le proprie relazioni interpersonali?
Stavolta rispondete voi, e già so che tipo di risposta vi sarete dati.
L’informazione che trovo curiosa, legata al ruolo del Salvatore, è che per quanto il Salvatore si senta un buon samaritano e voglia aiutare gli altri ad ogni costo … di fatto li sta svalutando.
Li svaluta perché aiutandoli si sostituisce a loro, non ne stimola l’autonomia ma anzi, promuove dipendenza.
Non lascia che l’altro sviluppi le proprie risorse e capacità e ciò che era partito come un aiuto apparentemente sincero si rivela essere un gioco psicologico.
Per aggiungere un ulteriore pezzettino importante a quanto esposto sul Triangolo Drammatico … all’interno dell’interazione tra Salvatore e Vittima, arriverà il momento in cui ci sarà lo scambio di ruoli ed uno dei due diventerà, molto probabilmente, un Persecutore.
Lo scambio di ruoli è tipico dei giochi psicologici ed è accompagnato da sensazioni sgradevoli per entrambi i partecipanti: d’altronde non è bello aiutare gli altri per poi ritrovarsi ad essere aspramente criticati, no?
Mettere gli altri prima di sé stessi, quindi, nasconde più insidie di quello che normalmente si crede.
L’altruismo, quello vero, nasce dal rispetto del valore dell’altro: non ci si sostituisce, bensì si aiuta e si accompagna di pari passo.
La posizione esistenziale, in questo caso, è di parità: io sono OK ed anche l’altro è OK.
Quindi, alla luce di quanto detto: si stanno avvicinando le feste natalizie, avete rivalutato il vostro modo di essere altruisti quest’anno?
Grazie per aver letto tutto l’articolo, se ti è piaciuto condividilo, a presto!
Dottor Antonello Mattia – Psicologo Castelli Romani