Esistono fasi nella vita che sono davvero difficili da gestire ed il momento di chiudere una relazione è uno di questi.
A decidere di chiudere la relazione può essere lui o può essere lei: in fin dei conti non è così importante.
Quello che entrambi gli ex-partner vivranno sarà una fase caratterizzata da profondi cambiamenti psicologici che hanno molto a che fare con l’elaborazione di un lutto.
La fine di una relazione è sempre un momento doloroso: siamo animali sociali e siamo progettati per stabilire legami di attaccamento con altri esseri umani.
Basti pensare ai legami di attaccamento che si stabiliscono durante l’infanzia: se il bambino non riceve abbastanza riconoscimento da parte delle madre e dal padre, la sua sopravvivenza è messa a repentaglio.
Mettendo un attimo da parte il tema del riconoscimento reciproco di cui ho già parlato in un precedente articolo, la fine di una relazione amorosa corrisponde all’interruzione di questo legame di attaccamento.
Il proprio partner è ancora vivo e vegeto, non è decisamente venuto a mancare come accade nei lutti veri e propri, ma il rapporto cambia talmente tanto per cui è necessario rimboccarsi le maniche ed elaborare psicologicamente questa separazione.
Cosa si intende per elaborare psicologicamente la separazione?
Separarsi e chiudere una relazione, soprattutto se è durata tanti anni, significa affrontare una ridefinizione di sé stessi e della propria identità.
Stare per tanti anni assieme porta i due partner a costruire un universo comune fatto di familiari, amici e contesti.
In questo senso, chiudere una relazione implica rivalutare il suddetto universo comune alla luce del fatto che non si è più assieme.
Allo stesso tempo i singoli partner rivedono la propria concezione di sé, che passa dall’essere una persona in una relazione amorosa all’essere single, con tutti i cambiamenti legati a questa transizione.
Quali sono i consigli per affrontare una separazione al meglio?
Personalmente credo che non esista una Bibbia dei buoni precetti per affrontare una separazione, in quanto ogni persona è diversa e così ogni coppia.
Ognuno di noi affronta la separazione ed il lutto connesso ad essa in modo differente, tuttavia esistono dei principi generali che credo possano essere utili.
Innanzitutto, sono un fermo sostenitore del chiedere aiuto ad un professionista del benessere mentale quando si sta affrontando un periodo difficile e si crede di non riuscire a farcela da soli (per forza, faccio lo psicologo!).
Bias cognitivi a parte, chiedere aiuto ad uno psicologo è un atto di amore verso sé stessi perché, invece che farsi solo/a ed affrontare il dolore da solo/a, il partner può farsi aiutare nell’elaborazione e nella ricostruzione della propria identità.
Un altro consiglio ha a che fare con il contatto con le proprie emozioni.
In questi momenti così difficili può venire naturale il pensiero di distrarsi continuamente e di “non pensare” e di “non sentire”, ma a lungo andare questo atteggiamento può ostacolare l’elaborazione della separazione.
Per questo motivo è importante stare a contatto con la propria tristezza, la propria rabbia, la propria paura ed al tempo stesso coltivare occasioni di svago e di ricostruzione positiva della propria vita che portano gioia.
In questo senso chiudere una relazione rappresenta un’altalena tra passato e futuro, tra ciò che si è perso e non c’è più ma che rimane nella memoria; e ciò che invece ci sarà, e che è possibile costruire sin da oggi.
Alla luce di quanto detto l’atto di chiudere una relazione può essere un momento di crescita per entrambi i partner, proprio per via della ridefinizione di sé che è connessa a questo evento.
È proprio nei momenti di difficoltà che diventa imperativo attivare le proprie risorse e chissà, magari si potrebbe scoprire di avere risorse nascoste di cui si era inconsapevoli.
Al tempo stesso è possibile crearsene di nuove, e viversi situazioni e contesti nuovi che prima si ritenevano impossibili.
Vorrei chiudere questo articolo con una frase proveniente da una canzone dei Kamelot che ho sempre adorato e che parla proprio di periodi di difficoltà come questi, sottolineandone la transizione dal dolore alla speranza.
La strofa recita così:
“What does the winter bring, if not yet another spring?”
Che tradotta in italiano suona in questo modo:
“Che cosa porta l’inverno, se non un’altra primavera?”
Dottor Antonello Mattia – Psicologo Castelli Romani